sabato 30 maggio 2009
Una pietra
Il bambino non era scappato di casa.
E neanche lo avrebbe sfiorato il pensiero di non tornarvi per l’ora di cena.
Solo che aveva cominciato a camminare. E adesso non si fermava più. E nemmeno riusciva a tornare indietro. Le sue gambe lo portavano, e lui seguiva le sue gambe, mentre lo sguardo cercava di svelare gli angoli più nascosti della costa, oltre i muretti di recinzione, al di là della scarpata della ferrovia, attraverso l’intrico dei cespugli di pitosforo.
Il marciapiede era stretto, a volte mancava, e le automobili gli sfrecciavano pericolosamente vicine percorrendo troppo veloci quella statale tortuosa.
Il bambino andava ad Ovest.
Alle volte si tirava su la manica del giubbetto leggero, e guardava il suo piccolo orologio, e si accorgeva che si stava facendo tardi. Allora, invece di fermarsi e tornare indietro, affrettava il passo.
Dopo una curva, una scogliera bellissima si presentò ai suoi occhi: era granito, levigato dal mare e dal vento, e i suoi massi creavano delle forme meravigliose e misteriose, piene di anfratti e ampolle naturali, come piccole piscine, lambite dalle onde di quel mare. Il profumo del vento, ricco degli effluvi marini raccolti fin dal Golfo del Leone, inebriava.
Quell’angolo meraviglioso era a più di cinquanta metri sotto la strada. Un pendìo scosceso, disseminato di sassi, sterpaglie, piante grasse e dirupi divideva il bambino da quel luogo incantato.
Non ci pensò due volte, e scavalcò il guard-rail. Cominciò la discesa cercando con gli occhi il percorso più facile. A volte sbagliava e si trovava sul ciglio di una forra, per cui doveva risalire e ricominciare.
Si sdrucì i pantaloni, si escoriò mani, ginocchia e avambracci, finì contro un’agave, che per fortuna non lo ferì. Ma finalmente arrivò alla scogliera.
Si accorse che poco distante sbucava una stradina sterrata che portava su, alla nazionale. Meno male, non avrebbe fatto fatica a tornare.
Quella discesa gli aveva preso più tempo del previsto, ormai era tardo pomeriggio. Il bambino lo sapeva, ma non voleva pensarci. Si sentiva orgoglioso e felice. Il suo viaggio avventuroso lo aveva condotto in un posto fantastico. Gridò di gioia e si diede subito all’esplorazione di quella scogliera meravigliosa. Scoprì il Grande Lago Salato dei Ricci di Mare, la Guglia Misteriosa, l’Isola delle Scimmie e la Grotta dell’Eterno Fragore. Qui si fermò, si sedette, e pensò che sarebbe stato bello vivere lì. Per sempre.
Il sole tramontò e poi brillò la luna, che si fece alta nel cielo. Il bambino scoprì con meraviglia quale riflesso straordinario sapesse fare quell’astro misterioso sulla superficie del mare, e con immenso stupore si accorse che quel riflesso lo seguiva. Allora si mise a correre lungo gli scogli per vedere quella scia argentata che non lo lasciava un attimo e lo rincorreva come un cagnolino. Rideva felice. Quella sera il mare e la luna erano diventati suoi.
Poi si fermò, e capì di essere irrimediabilmente in ritardo; cominciò a preoccuparsi per i suoi genitori, soprattutto per la vecchia nonna apprensiva. Non voleva che soffrisse. Ma non voleva nemmeno abbandonare il suo regno.
Allora raccolse una pietra. Era di granito, di forma ovoidale, levigata e grande come una noce di cocco. Era pesante. La raccolse dal mare tiepido di quella sera di maggio.
La accarezzò, se la mise, ancora grondante, su di una spalla, e si avviò verso casa.
Note: A quel tempo non c'erano telefonini... ;)
L'immagine è tratta da:
http://lavelocitadelsogno.net/2009/01/11/creuza-de-ma/
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2 commenti:
Molto bello! Il tuo blog mi incuriosisce parecchio.
Ehi grazie!
la cosa è reciproca!
(il commento mi è venuto quasi alla Verdone, ohibò!)
Ciao!
:)
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