domenica 4 aprile 2010

Caravanserraglio

Per mia fortuna e per ironia della sorte non mi restava proprio altro da fare nella vita.
Quella cosa che amavo.
Perché, incredibile a dirsi, io con Lei sapevo volare alto, e correre veloce. Superare in altezza tutti gli astanti. Giganteggiare.

Così, nel fare quella cosa, ci ho passato tutta la mia, fin troppo breve, esistenza.
Mi piaceva tanto.

Molti di loro venivano a vedermi come quando si va al circo.
Al loro entrare c'era tutto un gran brusìo, un vociare di morbosa attesa, confuso rumore.
La maggior parte di loro era lì per vedere.
Vedere questo fenomeno.
Questo scherzo della natura.
Io.

Vedere.
Vedere.
Vedere.
E qui che a volte scivolavano. Avevano sbagliato azione, il verbo transitivo era un altro.
E finiva che alcuni si facevano male, ma solo un poco, e uscivano sgomenti.

Perché era lampante che quando io lo facevo, che quando io facevo quella cosa lì,  non c'era proprio nulla da vedere.

Niente che attirasse l'attenzione morbosa per più di due minuti.

Niente che valesse il prezzo del biglietto.

Nessuno però ha mai chiesto il rimborso.

Perché, di solito, all'uscita, dopo gli applausi scroscianti, e le loro urla, le richieste del bis, che concedevo sempre, anche a costo di uccidermi... ...perché, di solito... all'uscita del pubblico dalla sala...


...c'era tutto quel grande silenzio tra di loro.

Allora tendevo l'orecchio a quel silenzio, e sorridevo.








Nota: Ringrazio Roberto de il blog Mondo Jazz per aver ricordato Michel Petrucciani in questo splendido post:
"Ossa di cristallo"
http://blog.libero.it/MondoJazz/7936516.html

e ringrazio Gio di Dystopia per aver posto l'attenzione, in un suo precedente post, sull'importanza del silenzio, dopo aver ascoltato "buona musica"...

venerdì 2 aprile 2010

Giri di boa


Avete mai visto un Vatusso?
Io sì, a Cannes, guarda un po’, durante lo svolgimento di un festival del cinema parecchi anni fa. Mi sembrava un essere alieno e distaccato, molto, molto sapiente nel suo incedere. Elastico, silente, maestoso, lui colmava con i suoi passi lo spazio come nessun altro in quel luogo. Niente a che fare con la canzoncina di Vianello. La ricordate?
Ma tant’è! Persona sacra dicevo, quel Vatusso, non so se mi spiego.


Comunque stanotte camminavo alla grande, proprio come lui!
Senza sforzo alcuno. E dire che di strada, questa notte, ne ho pur fatta…
Ho camminato, infatti, per ben ventidue anni-sogno.
Un bel tratto, non c’è che dire…
E ho cercato di arrivare in tempo, almeno questa volta.


Ma… mai stato puntuale, in vita mia. Nemmeno di notte, e manco da Vatusso. Quando si dice la coerenza!



Strada facendo mi capitò infatti di parlare col suicida.
Stavo elasticamente divorando la strada, falcata dopo falcata, per arrivare in tempo, quando mi trovai nel bel mezzo di un ponte.
“Altolà! Non si passa!” intimò.
“Un fiorino?” ci provai io, sorridendo sardonico.
“Naa! Troppo facile! E lascia perdere le strizzatine d’occhio ai bei film! Tanto con me non attacca!” disse. Ma si vedeva che faticava a restare serio.
Era un suicida gonfio e viola. Da come si presentava capii subito che era un tipo da lago. Verde d’alghe e un pesciolino ben vivo e guizzante nella tasca allagata. Faceva le bolle.
“E perché non dovrei passare? E dove la mettiamo la libertà di transito?! E poi il ponte è di tutti!” replicai convinto.
“No.” Rispose perentorio “Questo è il mio ponte sul mio lago.” Sottolineò.
Guardai di sotto. In effetti c’era un lago.
Mi accorsi solo allora (sempre distratto io) che il ponte congiungeva le sponde di un lago alpino, verde, trasparente, anzi cristallino, in cui si rispecchiavano tutti gli alberi del mondo. Anche i baobab! (!?!?) E alte montagne a picco tutto intorno sopra le quali brillava un sole splendente in un cielo azzurro con una nuvoletta bianco perlacea tipo “The Truman Show”.
“OOhh!…” dissi. E rimasi a bocca aperta per dieci minuti buoni. Un pettirosso stava meditando di farci il nido quando il suicida mi scosse dalla contemplazione estatica di quella natura da sogno.
“Bando ai dettagli, amico!” disse “Se vuoi passare il ponte devi superare la prova”
“Ma i baobab?... Che prova?” chiesi.
“Se non lo sai tu!” rispose sibillino.
“La so! La so!” farfugliai concitato “La risposta è L’UOMO!!!!”
Storse il naso, e cadde qualcosa di verde e formicolante, non indagai. “Per chi mi hai preso, dico?” rispose infastidito.
“Riuscire a essere fedele ai miei princìpi?” provai.
“Naa!”
“Alle persone che ho amato?”
“Questa poi!” esclamò agitandosi scompostamente, e perdendo altri pezzi.
“Fedele a quelle che mi amano?...”
“Ma allora sei monotono!” esclamò “Tanto per chiarirti le idee, bello, tu non sei fedele per natura! Credi di essere un uomo buono. Anzi ci speri. Ma ti è andata storta caro mio. Fin dalla nascita!”
“Ma che dici?” arrossii.
“Tu” continuò implacabile “Hai tradito e dimenticato tutti quelli che ti hanno voluto bene! Acqua passata!”
“Non è vero!” gridai “Ci penso tutti i giorni!”
“Sì? … E che fai in pratica, oltre a pensarci qualche minuto al giorno, dico? Vuoi che entri nei dettagli, o preferisci cambiare argomento?”
“Ok! Ok! Imparare bene l’inglese?”
“No”
“Smettere di scrivere?”
“Magari!” sospirò (e ce ne vuole per un morto!) “Ma non è quella!... Riprova!”
“Convertirmi e farmi monaco?”
“Non fare il pagliaccio!”
“Il giro del mondo?”
“Non lo finirai mai. E lo sai bene…”
“No infatti.” ammisi “Non mi piace la parte chiamata RITORNO”
Silenzio.
“E va bene.” e alzai la voce “E allora RINUNCIO! Tanto non la so! Hai capito! Me ne vado!!!”
Mi voltai indietro, e presi a camminare a lunghi balzi.
“Ehi!” lo sentivo gridare dietro di me “Ehi, amico! Ma come sei permaloso!” e aggiunse “Dico a te! Torna indietro!... Hai solo anche tu qualche problema di DNA, amico. Scherzavo! Chi non ne ha?”
La sua voce era sempre più lontana, ma riuscii ancora a sentirgli dire:
“Dai!... Guarda me per esempio!…” gridò ancora con voce strozzata.


Era troppo! Tornai indietro in lacrime, lo abbracciai e andammo a farci una birra insieme alla baita lì vicino, subito dopo il ponte. La cameriera, una trentina bianca e rossa che pareva il tricolore si chiamava Tata-Lena, era allegra come un fringuello, e aveva due seni enormi, che era tutto un dejà-vu. Io piangevo come un bambino dalla commozione mentre lei mi lasciava scaldare le mani nella sua scollatura mentre mi imboccava col boccale di birra.
Dio, che scena!
Fu così che persi un sacco di tempo! Finii col ringraziare fraternamente il suicida, ci scambiammo le e-mail, e solo dopo diverse ore riuscii a riprendere il mio cammino a passi incerti, lunghi e liquidi.


Fu così che arrivai, ventidue anni-sogno prima, ancora una volta inesorabilmente in ritardo.


Trovai, al suo posto, invece, un biglietto sgualcito sul solito tavolo. Odorava di polvere d’osso, il biglietto, e di tempo passato e di un rapporto irrisolto.


Credo che tra me e lui ci sia stato sempre l’inespresso desiderio di voler essere accettati reciprocamente.


Lui, all'epoca, con il suo senso di colpa, io di inadeguatezza.


E poi si è fatto insieme un giro di ottovolante (di ventidue anni, of course!) e si finisce io con i miei sensi di colpa (mica uno solo, eh!), e lui di inadeguatezza, come da biglietto improbabile lasciato sul tavolo in cui c’era scritto pressappoco così:


“Dico, ehi ragazzi!...
Mi son fermato qui!
Ora guardo stupito questa strana locazione di memoria in cui sono finito a galleggiare.
E non riconosco più nulla, manco a dirlo, tantomeno me stesso.
Punto e a capo.
Dico, ehi, ragazzi… non l'avrei mai detto, no, ma... mi sono fermato così presto, a questo stupido giro di boa.
E la regata continua, appassionante, per tutti gli altri.
In cui tutti aspettano il prossimo,
(MUSIC)
Inesorabile,
(MUSIC)
Imprevedibile,
(MUSIC)
Impareggiabile,
(MUSIC)
Inevitabile,
(MUSIC)
giro di boa!
(TA-DAAA!!!)
Dico, ehi, ragazzi...

Mi metto, con cura infinita, il suo biglietto in tasca, e sussurro:
“Ciao papà !

Note:
“La risposta è L’UOMO!!!!” il classico indovinello della Sfinge a Edipo. Il suicida, giustamente, si offende... ;)
"altolà! chi va là! dove andate? da dove venite? un fiorino!" dal film "Non ci resta che piangere" (Troisi - Benigni) :D
"bianca e rossa che pareva il tricolore" è una citazione da: "El purtava i scarp del tennis" del grandissimo Enzo Jannacci. ^^