mercoledì 12 agosto 2009

Nuvole


Le acque limacciose dell’estuario sanno di risaia.


Bruno non riesce a distogliere lo sguardo dalle righe stampate di quel libro, che diventano sempre più illeggibili nell’incerto chiarore del tramonto.


Non ha mangiato nulla dal mattino. La giornata è tutta trascorsa tra la calura opprimente di quella fine d’agosto e le pagine ingialllite.

Si alza, sudato, dalla branda della cabina di poppa, e, con il libro ancora in mano, va a guardare per l'ennesima volta il barometro.

Ci picchia sopra con il dito, e poi resta per un po’, perplesso, a scrutare quell’ago immobile.

La cucina, a murata, sulla sinistra, è in disordine. I lavelli ingombri di stoviglie sporche, i fornelli unti e incrostati.
Bruno apre il frigo, e avverte un odore nauseante. Posa il libro allungando il braccio fuori, all’imboccatura del tambuccio, e comincia, nella penombra, a svuotare il frigorifero e a disporne il contenuto sul tavolo. Raccoglie un cartoccio con del formaggio ammuffito, sei uova troppo vecchie e un pezzo di salame annerito, sale in pozzetto e getta queste cose avariate nella corrente.

Nella luce rossastra del crepuscolo, nugoli smisurati di zanzare si levano dalla riva in controluce, e, persino, se ne percepisce il suono da lontano; come se quell’infinita schiera di insetti costituisse un unico grande organismo vivente, dotato della voce sorprendente di una linea elettrica ad alta tensione.

Deve mangiare qualcosa. Allora scende sotto di nuovo. Decide per carne in scatola e crackers, e poi ancora crackers e formaggini. Trangugia una birra calda. Scova un vasetto nuovo di sottaceti e lo finisce tutto.
Si apre un’altra lattina di birra, si siede, e se la scola piano piano.
Poi rutta nella penombra.

Si alza e si mette a dare una passata di spugna al fondo viscido e buio del frigo. Ne tocca le pareti, che sono tiepide, e il pannello radiante, appena fresco. Vi rimette tutto quello che è rimasto sul tavolo, e ne chiude il coperchio.

Aziona l’interruttore sul quadro principale e un debole ronzìo viene ad aggiungersi a quello degli insetti. Il motorino del frigo riprende a funzionare, sottraendo energia alle batterie di servizio già esauste. E' ora di accendere il diesel di bordo, e non può più rimandare.

Sale in pozzetto, apre lo sportellino di plastica trasparente, arabescato da mille crepe di sale e di sole, gira la chiave e preme il bottone.

Uno sbocco di fumo nero e acre esce dal ventre della barca, ancorata nel letto dell’estuario, e un martellare matematico riprende a dare vita e nutrimento all’impianto elettrico di bordo.

Bruno sta in quel disgraziato ridosso da troppo tempo. Vi si era rifugiato prima dell’ultima mareggiata insieme a molte altre barche. Passato il maltempo queste erano partite tutte, e lui era rimasto lì. Solo.

Ormai si è fatto buio.

I morsi delle zanzare non lo infastidiscono. Lui è abituato, è nato tra le risaie di una pianura spietata, colma di vita e di veleni per distruggerla. Erano scomparse invece solo le specie più delicate e più belle, mentre le peggiori persistevano, più forti e numerose. Come le zanzare, appunto.

Pensa all’ultimo grande sciame di farfalle che ha visto, qualche anno prima. Volavano sul pelo dell’acqua, al largo, tra Genova e Bastia, sfinite. Alcune morivano così, lievemente, appoggiandosi su quel mare estivo abbonacciato.

Cosa ci facessero laggiù, in mare aperto, se lo chiede ancora.

Lui non ha lasciato l’estuario perché è certo del sopraggiungere di una nuova burrasca. La sente nell’aria, da diversi giorni. La presagisce convinto. Perciò non ha salpato l’ancora insieme agli altri.

E per diversi giorni non è successo nulla: i bollettini meteo sono stati normali, il tempo afoso, il vento debole, alternato a bonaccia.

Salvo che per quelle nuvole a Occidente. Minacciose, scure e immobili, come pietrificate sull’orizzonte, gli rimandano il loro appuntamento.

Gli altri erano salpati tutti, ora saranno in porto da un pezzo.

Ma Bruno ne è sicuro: lui da quell’immobile rifugio non se ne andrà. La tempesta ci sarà presto. E sarà spietata.

Accende la luce sottocoperta e cerca il suo libro, ma non lo trova. Guarda le stoviglie sporche: di lavarle con l’acqua torbida e maleodorante del fiume non se ne parla. Di sprecare la preziosa restante acqua del serbatoio, nemmeno.

Rimanda ancora una volta il problema, e ricomincia a cercare. Poi ricorda di averlo messo di sopra e esce in pozzetto con la torcia elettrica.

Lo trova aperto. Caduto sul carabottino, è con le pagine all’ingiù, spiegazzate in malo modo. Scomposto.

Lo raccoglie e ne accarezza le pagine sgualcite, mentre lo sguardo punta lontano, a Ovest, tra le nuvole ancora accese di rosso, che rincorrono il tramonto, sopra l’orizzonte.

Improvvisamente, più in alto, là dove le nuvole sono già scomparse nel nero della notte che sopraggiunge, il bagliore di un lampo le illumina per un istante.

“Ci siamo!” esclama, e si affretta a spegnere il motore, per poter ascoltare il tuono lontano.

Che non viene.

Rimane a lungo, nel buio di quella notte senza luna, a vegliare le nuvole a Occidente.

A volte scorge lampi lontani, bagliori.

Poi, stanco, torna in cuccetta, a finire quel libro, nella sua barca immobile e ronzante, lambita dalle acque dell’estuario, che scorrono, nere e levigate come marmo.

(Brindo all' Amico triste!
Che possa aver già cambiato umore!)

;)