lunedì 17 ottobre 2011

Settimana bianca


Lo sguardo del cane non è colmo di rimprovero, ma di condivisione.


Il corpo del cane manca di una zampa. Il moncherino sanguina un poco.

L'odore è buono, come dovrebbe essere per un cane in salute.


La neve si sta sciogliendo a gocce gelate che cadono dal tetto seguendo una partitura scritta quasi per intero in cinque quarti.


Stalattiti di ghiaccio si staccano dal colmo e impalano la neve alta, soffice, ricoperta da una leggera crosta croccante.

Avete mai provato a mangiare la neve soffice quando ha la crosta croccante?


Siamo tutti bloccati qui, da non so più quanti giorni, compresi i cani.

Ventisette ragazzi, tra femmine e maschi, più il Prete.


C'è ancora cibo per qualche giorno.


Nessuno sa di noi. Dovremo cavarcela da soli. Scendere a valle.


§


Qualcuno ha detto: “le motoslitte”. Per niente facile. Se n'è persa la memoria, con l'avvento della luna nuova. Dove siano, come si possano usare, come siano fatte.
Almeno sapere come sono fatte porterebbe a qualcosa. Magari le abbiamo proprio lì, davanti ai nostri occhi, e non sappiamo riconoscerle. Ne rimane solo l'astrazione.
Motoslitta uguale a Ritorno uguale a Salvezza.



§


Si sta facendo buio. Le stalattiti sul tetto, fuori dalla grande vetrata appannata, hanno cessato di staccarsi. Il ticchettio delle gocce gelate è cessato. É calato il silenzio.


Nella luce del tramonto, al di là del vetro, ha ripreso a nevicare.


Stasera mangeremo torrone e canditi. Ma non c'è rimasto più nulla per i cani.


Martröð si avvicina e comincia a toccarmi. So dove vuole arrivare, e a me non dispiace. L'ho già lasciata fare altre volte. La sua lingua è l'unica cosa calda di cui ho sensazione precisa. Calda e gelatinosa, tremolante, distilla i suoi umori. Non credo sia umana, ma mi comporto come se lo fosse.


Non mi importa più, a questo punto. Del resto.


Mi spoglia e mi possiede lentamente sui gradini di marmo, gli altri sembrano non farci caso.


È successo a tutti noi, in questa fase di luna, di dimenticare le cose ed accoppiarci con essi.


§


Io avevo una ragazza. Lei è qui, ne sono certo, è una del nostro gruppo di ventisette ragazzi, tra femmine e maschi, più il Prete.


Ne conoscevo l'amore e il sapore delle labbra. E, sono sicuro, ne sapevo il nome.


Anche lei si sarà unita ad uno di loro. Qui ci sono solo ventisette ragazzi, di cui tredici sono ragazze. Chissà chi è, tra queste, il mio amore.


Stasera non mangerò torrone e canditi. Dopo essere stato assieme a Martröð, quando lei sarà scomparsa di nuovo, cercherò di capire dove si nascondano le motoslitte.


Questa storia deve finire. Sto per venire, così finalmente lei tornerà a nascondersi nel suo antro.


§


Anche Verdiana è del mio avviso. Se non altro ne ricordo il nome. Era la mia compagna di banco, prima che iniziasse questa strana settimana bianca. Di ciò almeno sono sicuro.


È convinta che potremmo ancora farcela a raggiungere valle. Per farlo però occorrerà capire ciò che è accaduto. Forse il Prete potrebbe svelarcelo, se solo riuscissimo a scuoterlo dalla sua estasi mistica.


Egli ora è fuori, oltre la vetrata, inginocchiato sopra una slitta, sulla neve. I candidi fiocchi lo hanno già ammantato di una seconda, più immacolata tonaca bianca. I cani, tra poco, lo prenderanno e lo porteranno nuovamente dentro, con noi, al sicuro dalla notte.


Senza la sua eroica difesa saremmo già stati tutti presi.


§


I pattini della slitta gemono tra la morsa del ghiaccio ed il tiro poderoso dei cani. Ecco il rumore come di un osso spezzato. Il ghiaccio ha ceduto. Lentamente, preceduto dagli sbuffi di vapore soffiati dalle narici dei cani, il Prete, inginocchiato, occhi chiusi e immobile, le braccia distese come uno sparviero, fa il suo ingresso nella sala dalla grande vetrata. Torrone e canditi dappertutto, sparpagliati a terra assieme a cocci di vetro, caramelle e silenzio. Le porte vengono nuovamente chiuse dai cani.


Verdiana ed io ci scambiamo uno sguardo. Il Prete. No. Non ci riusciremo mai.


§


Ha cominciato a soffiare forte il vento. Laggiù, oltre la vetrata, turbini di neve fitta e ululati distanti provenienti dagli antichi fratelli dei nostri cani, che qui al riparo, li ascoltano spaventati.


SenzaUnaZampa viene da me, non so perché. È forse mio? Cerca protezione. Lo gratto dietro le orecchie. Si fa coraggio e la sua coda torna a sollevarsi e a battere il tempo.

Non abbiamo più nulla da dare da mangiare a loro. Questo significherà l'inizio della nostra fine.


Devo carpire il segreto delle motoslitte, capire sotto quale forma esse si celino, dove si nascondano. Ma se mi sforzassi troppo nel pensarci, sarei il primo ad essere preso. Semplicemente mi dissolverei.
Non ci sarebbe più alcuna speranza di ritrovare Berenice.
Non è il vero nome della mia ragazza, lo so. Ma ho deciso di chiamarla in questo modo, almeno per il momento. Così, possedendo un nome, lei sarà forse più reale.

Verdiana è d'accordo. A me pare buffo, ma poi mi offre dei canditi. Stavolta mi decido a mangiarne.

Provo a darne un po' anche a SenzaUnaZampa, che gira il muso dall'altra parte. I canditi non piacciono a questi cani, e nemmeno il torrone.


CodaBianca dev'essere il più affamato. Si è preso un coccio di vetro per sé e lo tiene tra le zampe, accucciato. Tenendo la testa piegata di lato lo sta rosicchiando con i molari. Rumore di gessetto sulla lavagna. Sanguina dalla bocca. Vorrei fermarlo, ma, se mi avvicino, ringhia sommesso.


§


Martröð è tornata questa sera. Non era mai accaduto prima d'ora. Si dosava una volta al giorno, come una medicina. Forse ora sono più grave e bisogna raddoppiare il trattamento? Si avvicina lentamente, com'è solita fare, e sempre lentamente mi avviluppa. Non so quante braccia abbia precisamente, né quante dita. Molte più di un essere umano, questo è sicuro.


Ma non faccio eccezione. Era accaduto anche a Verdiana che Martröð la visitasse a volte anche due volte in un giorno. Per lei non ha tutte quelle dita, e ha solo due braccia, ma forti, maschie e muscolose. Quando la prende, lei va in estasi, ed in quei momenti non vorrebbe più fuggire. Desidererebbe appartenere a quel luogo. Per poterlo avere per sempre.

Poi, dopo che Martröð se ne va, Verdiana torna in sé, e vorrebbe poter scendere a valle, prendere il primo treno per tornare a casa.


Non capisco, perché, ma quando io sono con Martröð, anche quando lei mi fa le cose più lascive, non m'importa nulla del piacere, vorrei solo poter fuggire!


§


Il Prete è inavvicinabile. Non è possibile potergli chiedere alcun consiglio. Se provi a parlargli non ti sente, se provi a scuoterlo i cani ti si avventano contro.


Quando ci ho provato persino SenzaUnaZampa mi si è scagliato addosso.


Forse loro sanno che se qualcuno lo destasse da quella specie di catalessi, noi tutti spariremmo in un attimo. Puro istinto di sopravvivenza.


Sto pensando di uscire nella notte, sotto la tormenta di neve e offrirmi ai lupi. Buffo e inutile. Tanto, presto, finirà tutto comunque.


§


Delle dodici ragazze, oltre a Verdiana, non riesco a immaginare chi sia stata la mia Berenice. Forse se riacquistassimo insieme il ricordo, potrebbe cambiare qualcosa.

Provo ancora amore per lei, ma non so come fare a riconoscerla tra loro.

Chissà se anche per lei è lo stesso?


Anche Verdiana aveva un amore. Ma né io né lei ricordiamo chi fosse e se apparteneva al nostro gruppo oppure no. Forse era uno di fuori e la sta aspettando fiducioso da qualche parte.

E se gli venisse in mente di venirla a trovare? Potrebbe essere la nostra salvezza.

Qui è impossibile andarsene senza le motoslitte, ma è possibile arrivare: ci sono gli impianti di risalita in funzione durante il giorno. Sempre vuoti. Gli sciatori non vengono mai qui.

Già!... Gli sciatori...


Ora ricordo: una volta sapevamo tutti sciare.


§


Ho provato a parlarne a Verdiana. Non sa di cosa parlo. Non solo non ricorda dove siano gli sci, e come sia la loro forma, ma non ne conosce nemmeno il significato astratto. Eppure era una sciatrice esperta. Di questo sono sicuro.


Non ci resta molto tempo a disposizione. I cani, privi di alimenti, tra non molto non sapranno più svolgere il loro compito. Il Prete congelerà nella notte e noi verremo presi tutti.

Devo rischiare. Devo sforzarmi di pensare. Riuscire a concretizzare nella mia mente se non proprio la forma di una motoslitta, almeno quella di un paio di sci. E ricordare dove essi possano essere riposti. Se avrò successo, già domattina potrò scendere a valle e dare l'allarme. Arriveranno i soccorsi per tutti!


Se invece nel provarci supererò la soglia dello sforzo, allora sarò preso e mi dissolverò. Ma ho deciso, non c'è più nulla da perdere!


§


Pensare. Prima cosa: la forma degli sci. Qual'è dunque?

Stuzzicadenti e biscotti dell'infanzia.

Credo di essere su una falsa pista.

Canalone Staunies.

Cos'è? Ricordi? Dev'essere roba ripida.

I biscotti sono i Pavesini. Ma preferivo i Savoiardi.


Che nervoso, se continua così dovrò fare pipì!.


Due stuzzicadenti sì, due a forma di Pavesini.

Carving. Ecco il nome! Sciancratura.

Molti colori tra cui anche il rosso.

Giù in cantina.

Trovato!!! Gli sci sono nella cantina della mia infanzia... E sono rossi, dritti e non sciancrati.


Ecco di nuovo Martröð! Ma cosa vuole ancora? Non ci siamo... Ancora quelle dita e la sua lingua così...


No! Devo concentrarmi!

Martröð va altrove.


Gli sci non possono essere in cantina! Qui siamo in un maledetto albergo sulle Dolomiti e gli sci non possono stare in cantina! Stanno al piano di sotto nel loro deposito riscaldato e ben illuminato. Assieme agli scarponi. Eureka!


Ho la vescica che mi scoppia!

Devo trovare un bagno in questo albergo.


E le dannatissime motoslitte sono nel garage! E vanno a benzina! E hanno i cingoli! Ed io...


Ed io ormai sono sveglio porcaccia la miseria!

Devo accendere l'abat-à-jour, ciabattare fino in bagno e non saprò mai chi era Berenice! Cazzo! Ohi! Che lombalgia! Devo aver lasciato cadere la coperta, e ho preso freddo alle reni... Settantotto anni! Che porca età nel 2037! Bah! Non ci avrei scommesso un soldo di cacio... Ah! La prostata, che palle!


§


Nella sala dalla grande vetrata, riscaldata da un maestoso camino acceso, mentre fuori infuria la tormenta di neve, un giovane Prete veglia estatico a braccia aperte su un gruppo di ventisei giovanissimi ragazzi.

Essi sono spaventati. Hanno appena visto dissolversi un loro compagno.


È andato! L'abbiamo perso!”


Ricordate come si chiamava?...”


Era il mio compagno di banco. Non ne ricordo il nome, e non voglio nemmeno sforzarmi a ricordarlo. Non vorrei sparire anch'io proprio come lui, quando si pensa troppo. In fondo, io preferisco stare qui.”


Verdiana vede prendere forma, in un angolo della sala, l'immagine sensuale e muscolosa di Martröð.


Eccolo! Sta arrivando, e ancora una volta è per me!"

E sorride.



FINE

giovedì 29 settembre 2011

Cinquecentoquindici frutti del melograno



Gli capitava sempre più spesso.


La cosa infatti lo aveva già allarmato da tempo e non era in grado di accettarla.


Benar era una persona pacifica. Mai, malgrado le usuali provocazioni a cui spesso si viene sottoposti nella vita, nemmeno una sola volta gli era accaduto di menare le mani. Eppure le aveva grosse e nodose, perfette all'occorrenza.


Invece, sempre controllato, era solito placare gli animi.

Più volte, in molte occasioni, aveva scongiurato esplosioni di violenza tra i suoi amici.


Era fermamente convinto che la parola, supportata adeguatamente da una mente pensante, potesse avere sempre la meglio sulla forza.


Era alto quanto un giovane frassino, pesava cinquecentoquindici frutti del melograno, non aveva mai collezionato nemmeno un grammo di grasso superfluo e non passava giorno, da diverso tempo, che non sentisse l'irrefrenabile impulso di uccidere Terpaku Pada Kursi.


Non che Terpaku non se lo meritasse, anzi, ma non era davvero questo il punto...


Il nocciolo della faccenda è che sarebbe stato proprio sbagliato, anzi, orrendamente distorto! Avrebbe rappresentato l'antitesi di sé, il crollo degli ideali di sempre, il rinnegamento della sua fede.


Eppure, ogni santo giorno, da mesi ormai, gli accadeva di volergli spaccare la testa.


Terpaku Pada Kursi era bugiardo, cinico, disonesto, opportunista e traditore. Sfrenatamente ambizioso. Scaltro nell'eseguire le tattiche, disastroso quanto idiota nel pianificare la strategia.


Era comparso come dal nulla qualche anno prima. Non si sapeva esattamente come fosse arrivato in Città. Chi raccontava fosse sbarcato da una nave Ruang, chi asseriva fosse arrivato in autostop.

Quali fossero le sue origini non lo sapeva nessuno, da dove fosse arrivato rimaneva un mistero.

Raccontava molte storie a molta gente. Tutte differenti. Ad alcuni aveva fatto credere che, sì, lui certamente era appena uscito dalla Scuola dei Sapienti Yang Bijaksana, con il massimo delle lodi e conseguente eccellente educazione. Per altri invece era stato un legionario sanguinario che aveva combattuto nelle immani distese del Pulau Garam. Altri ancora sostenevano di averlo udito confessare in lacrime di essere un Sacerdote Selatan spretato ingiustamente. Per altri era un perseguitato politico. Un guaritore Ahli Bedah Jantung ammalatosi precocemente di tremor sacro.. ex-giullare della corte dei Badut Pelacun... ex-terrorista... ex-veterinario... dobermann...

Mille storie, mille facciate per confondere.


Benar pensava che Terpaku Pada Kursi non fosse completamente umano. Piuttosto un mosaico. Nel suo patrimonio genetico, per qualche bizzarro gioco del caos, vi erano mescolate alcune componenti aliene. La sequenza di amminoacidi che costituivano la sua struttura cromosomica era contaminata dal Verme, dal Vampiro e dalla Sirena.


In questo la spiegazione della sua tenacia, pericolosità e forza di persuasione.


In ragione di ciò era diventato il capo della setta locale, e l'aveva trasformata a sua immagine. Aveva raggiunto in tal modo il controllo politico della Città.

Infatti, da più di un'Era ormai, prosperava in Città una setta religiosa adoratrice del dio Kemajuan.


Essa era sorta con le migliori intenzioni, per quanto mai potesse essere ben intenzionata una setta religiosa.


Lo scopo dei suoi fondatori era l'intento di migliorare le sorti degli Uomini, ridurre la povertà, aumentare la ricchezza, il che potrebbe sembrare la ripetizione dello stesso concetto in forma differente.
Niente di più sbagliato. Povertà e ricchezza sono entrambi habitat estremamente dannosi.
Il Benessere non scaturirà mai da nessuna di queste due condizioni in cui può venire a trovarsi malauguratamente l'uomo, pensava Benar. Esso deriva solo dall'Equilibrio, figlio di Keadilan, dea della Giustizia.

Povertà e ricchezza invece nascono entrambe da tremendi errori umani di valutazione e sono sempre irrimediabilmente complementari e sinergiche.


Questo lo sapeva bene anche Terpaku. Ridurre la povertà e aumentare la ricchezza è una chimera: esse sono strettamente correlate: o aumentano o diminuiscono entrambe.

E siccome lui amava smodatamente l'aberrazione della ricchezza, non gli importava nulla se di conseguenza aumentasse, per altri, l'atrocità della povertà.

Era riuscito a convincere la gente del contrario: che la sua prosperità sarebbe andata di pari passo con quella di tutti.


Una Città prospera da millenni, nel cui ventre per la prima volta ora stava espandendosi una neoformazione maligna e fino ad allora sconosciuta: l'indigenza estrema. Alcuni cittadini avevano cominciato a provare il morso ancestrale della fame, mentre Terpaku sperperava le ricchezze accumulate nel lusso, con prostitute Anak Pelacur e ruffiani Anak-anak Germo.


Sotto la sua egida la Città si stava indebolendo ogni giorno di più, mentre le popolazioni degli Altopiani Timur stavano meditando di soggiogarla al prossimo segno di debolezza.


Benar sentiva di doversi opporre a tutto ciò, ma non sapeva come. Terpaku Pada Kursi si era circondato di amici interessati e senza scrupoli ed il Male si era insidiato nel tessuto politico e sociale della Città.

Si guardò le mani. Erano solite sbriciolare noci-kelapa in una sola stretta. Benar fantasticava di avere tra le dita la testa calva di Terpaku, più piccola di una noce-kelapa...

Poi subito si rimproverava della violenza stritolante contenuta in quel pensiero.


§


Lona AmPelacur aveva tante cose.


Vent'anni innanzitutto. Dopodiché una bellezza fuori dal comune. Aggiungiamo la sua particolare professione di “grande pelacur”, ereditata da generazioni di AmPelacur, una visione della vita totalmente priva di morale e di scrupoli, una insaziabile avidità che alimentava ferocemente la sua sete di ricchezza, un'astuzia vivace, anche se non proprio eccellente, ed infine, a sua insaputa, un'infezione al terzo stadio prematuro da “basil bahwa Anda akan meledak tengkorak”, chiamata da tutti più semplicemente: “tengkorak meledak”.


Si trattava di un'infezione venerea rarissima, conosciuta universalmente più come leggenda che realtà, e che, nonostante fosse praticamente scomparsa da millenni, era stata vivacemente e costantemente tramandata nella tradizione popolare della Città.


Lona ne era stata contagiata frequentando David Bowie, un Viaggiatore del Tempo di Waktu Perjalanan, ricco, stravagante, portatore sano e assolutamente di passaggio.


Il motivo della fama imperitura di tale patologia nella memoria popolare consisteva nella sua sintomatologia, estremamente transitoria quanto acuta, che colpiva entrambi i sessi, e soprattutto nel suo peculiare esito che invece era appannaggio esclusivo dei soggetti ammalati di sesso maschile, e da cui prendeva il suo singolare nome.


Sia la sintomatologia che l'esito erano entrambi comunque oltremodo bizzarri.


Lona AmPelacur era stata, per ben tre mesi, la im-pelacur preferita di Terpaku Pada Kursi.



§



Benar, oltre ad essere un libero pensatore, uno sportivo e un accanito mangiatore di tofu, era anche uno stipendiato. Lavorava infatti.


Era un dipendente della Larsson-Millenium-Milton-Security, che, nella lingua della Città, è chiamata invece Perusahaan Keamanan Dan Pemakaman.


La sua professione era guardia del corpo.


L'indomani, per un gioco beffardo del destino, sarebbe stato assegnato per la prima ed ultima volta alla scorta addestratissima ed esclusiva di Terpaku.


La noce-kelapa di Terpaku sarebbe stata quindi vicinissima, a portata delle sue mani...



§



Brilla il sole di un nuovo giorno.


Ore 11:30:00 Piazza degli Universi Paralleli.

Presentazione alla Città del nuovo progetto anti-Costituzionale di Terpaku Pada Kursi con approvazione obbligatoria a decorrenza immediata.


Pulpito Sommo, ancora vuoto, che avrebbe ospitato a momenti l'immenso T.P.K. (quando è sui trampoli, ovvio.)


Palco dei MinistriCortigiani, tutti sorridenti e in perenne attesa di spartirsi il bottino, che non è mai abbastanza.


Palco delle Pelacur, tutte generosamente danzanti e scoperte, eccetto l'ombelico.


Cordone di Polizia.


Prime file della claque e capi-claque.


Numerose file degli iscritti alla setta (ormai dimentica del dio Kemajuan).


Numerosissime file di fans, simpatizzanti e perdigiorno, purché preventivamente trattati con BromajorkUltraPlus, il farmaco per l'uomo che non deve chiedere mai.

Cordone di esercito, teste di cuoio, cani-killer, spie dei servizi segreti tutti dotati di micro-telecamere nascoste.


File dei dissidenti coraggiosi. Transennati. Tutti gli altri a casa.


Sul palco delle pelacur, Lona AmPelacur oggi è raggiante. Si sente particolarmente euforica e non sa bene il perché. (Infatti è stata declassata da tempo... Che ci sarà da gioire?)

Dietro le quinte Terpaku Pada Kursi è raggiante. Si sente particolarmente euforico e crede di sapere il perché. Ma non è vero.


Ore 11:40:00

TPK sale sul Pulpito Sommo, in equilibrio precario sui trampoli. Boato della folla. Fischi sommessi e lontani.


Ore 11:42:00

La folla finalmente si acquieta. Si ottiene il silenzio.


Ore 11:42:01

Palco delle pelacur: Lona AmPelacur, completamente scoperta eccetto l'ombelico, in preda ad un'euforia incontrollabile, si accuccia sorridente, rilascia rumorosamente il contenuto dei suoi intestini sul palco, ride sguaiatamente, e grida a voce acuta e altissima che mai, mai in tutta la sua disonorata carriera aveva avuto a che fare con un essere così viscido e raccapricciante come quel vecchiaccio immondo di Terpaku Pada Kursi. Aggiunge particolari comprovanti e dettagliati. Conclude la sua arringa affermando sonoramente che il denaro vale più del ribrezzo.


Ore 11:44:17

Palco delle pelacur: Sconcerto tra le astanti tutte nude (tranne l'ombelico) e già molto meno sculettanti.

Rutto sonoro e svenimento successivo di Lona AmPelacur che si adagia sul contenuto ancora caldo appena rilasciato dai suoi intestini. [Si riprenderà nei minuti successivi, ormai completamente guarita dal “tengkorak meledak” in quanto (ricordate?) esemplare di sesso femminile, dopo la transitoria quanto acuta sintomatologia testé descritta.]


Ore 11:45:55

Palco dei MinistriCortigiani: Grido maschile isterico unanime: “Aaaaahhhh!!!!! La pelacur ha il “tengkorak meledak”!!! Aaaaahhhhh!!!! Ora toccherà anche a noi!!!!! E' finita! Addio mondo crudel, eccetera eccetera!”


(N.d.A. : Particolare andato perduto nella Notte dei Tempi della Città: il “tengkorak meledak” si trasmette dalla donna all'uomo esclusivamente dopo tre mesi di assidue frequentazioni ottenute solo per via innaturale. Durante lo svolgimento dei fatti narrati, nessuno dei presenti era a conoscenza di questa importante precisazione.)


Ore 11:46:00

Piazza: Grido maschile isterico unanime: “Aaaaahhhh!!!!! La pelacur ha il “tengkorak meledak”!!! Aaaaahhhhh!!!! Per una volta tanto il fatto di non avere, noi peones, nessunissimo privilegio ha avuto il suo aspetto positivo! Noi non abbiamo mai conosciuto questa donna nel senso inteso dai Sacri Testi!!! Sia ringraziato il dio Kemajuan!!! Evviva, l'abbiamo scampata bella!!! Evviva!!!”


Ore 11:55:22

Si ristabilisce l'ordine ed il silenzio. Terpaku Pada Kursi comincia ad avere male ai piedi a causa dei trampoli, ma è sempre inspiegabilmente euforico e raggiante. Non sta più nella pelle.

Ore 12:00:00

Pulpito Sommo: Inizia il discorso di TPK.


Ore 12:00:01

Pulpito Sommo: Benar, alle spalle di Terpaku, sovrastandolo di almeno un ramo di giovane frassino (nonostante i trampoli del leader), ha preso la sua decisione.

Benar, la guardia del corpo, che è una persona pacifica, ora schiaccerà nella sua mano sinistra la testa di TPK come una noce-kelapa. E non è nemmeno mancino.


Ore 12:00:02

Pulpito Sommo: Terpaku Pada Kursi, sempre più in preda ad un euforia isterica, si strappa con un urlo la lunga tunica di dosso e mette in mostra i trampoli. Seminudo, con un agile balzo (nonostante la veneranda età) scende da essi precipitando sulle assi di legno del pulpito. Con una risata folle e sguaiata si cala il sospensorio-mutanda e, liberandosi anch'egli del contenuto delle viscere, accucciato sul suo intimo, prorompe nell'elogio di sé stesso. Dichiara a gran voce di aver debellato per sempre la Dignità, l'Onestà, la Libertà e il Benessere. Di essersi arricchito oltre ogni immaginazione sulla pelle dei Cittadini, di aver condotto l'esistenza più amorale, sfrenata, e priva di senso della Storia dei Mondi Paralleli. E di aver sempre amato le donne... Cioè, di aver sempre amato l'umiliazione e l'asservimento delle donne (voleva ben dire).

Tutto ciò durò esattamente dieci minuti e sedici secondi.

A questo punto, se TPK fosse stato anche lui di sesso femminile, avrebbe roteato gli occhi e si sarebbe adagiato sulla sua stessa essenza. Poi sarebbe guarito. Invece no, per sua sfortuna era maschio.

Era finita in quel preciso momento la transitoria quanto acuta sintomatologia del “tengkorak meledak”. Ora sarebbe passato alla fase (invero molto sessista) chiamata “esito”.


Ore 12:10:18

Pulpito Sommo: Benar, immigrato Aleutock di primo livello, non ha mai sentito parlare del leggendario “tengkorak meledak”.
Per quanto sconcertato dallo svolgimento dei fatti, sta considerando di abbassarsi, afferrare TPK per l'occipite, sollevarlo dagli escrementi sottostanti e fargli schioccare una buona volta le quattro ossa del cranio.

Ore 12:10:19

Pulpito Sommo: esito finale riservato agli appartenenti di sesso maschile al numero di pazienti ammalati di “basil bahwa Anda akan meledak tengkorak” .

La calotta cranica del soggetto esplode da sé, con estrema violenza. Stile fungo atomico.


Ore 12:10:25

Pulpito Sommo: Benar, ancor più sconcertato di prima, è pieno di gratitudine verso la sorte benigna che l'ha dispensato da un così sofferto quanto gravoso incarico e corre a farsi una doccia. Ne sente davvero il bisogno.


FINE