giovedì 18 febbraio 2010

Deprivazione – Quarta Puntata


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Monika trasse dalla sua borsa a tracolla un pacchetto di Kleenex, ne prese uno e se lo passò sul viso. Dopo aver bevuto la sudorazione era diventata più copiosa ed imbarazzante. Sentì il tessuto sintetico della camicia appiccicarsi alla pelle bagnata. Temette di essere impresentabile e fu ben lieta quando Lena spense la luce e si avvicinò alla macchina da proiezione.

Evidentemente aveva già programmato lo spettacolo e capì che tutto ciò sarebbe accaduto comunque, a prescindere dalla sua reazione emotiva di poco prima.

“Assisterai al filmato di un esperimento cui si sottopose Jude successivamente a quelli sul sonno. A quel tempo lui ed io eravamo ormai amanti da mesi, ma io non ero mai riuscita ad avere ciò che cercavo da lui.”

Monika dopo una leggera esitazione chiese: “Può spiegarsi meglio?”

“Desideravo sopra ogni cosa averlo in un momento di suo completo abbandono e totale vulnerabilità. Era diventata per me quasi un’ossessione. Riesci a comprendere cosa intendo?”

Monika rimase in silenzio per un attimo a pensare, poi disse: “Credo di sì. Jude Finlayson era un uomo dal temperamento deciso e magnetico. Probabilmente lei lo desiderava spogliato da questa sua corazza comportamentale, vera o apparente che fosse.”

Lena osservò intensamente la giovane e poi disse:  “Hai capito Monika. Credo tu mi abbia capita.”  sorrise “Ora faccio partire le immagini”

Sullo schermo appare il classico 3,2,1 dei ciack cinematografici.

C’è un giovanissimo Jude Finlayson seduto di fronte ad una scrivania sulla quale evidentemente è montata la macchina da presa. Lui sfodera già il sensuale sorriso per cui sarebbe divenuto famoso pochi anni dopo. Gli occhi scuri, non molto grandi, stretti a fessura e penetranti, molto espressivi, dalle ciglia lunghe, gli zigomi pronunciati, il naso importante ma bello ed una bocca sensuale e carnosa, i capelli neri lunghi e ribelli, che lui scosta dalla fronte con un gesto rapido e naturale.

E’ lui, l’icona sexy, un uomo che pur non avendo fatto l’attore, né la rock-star ha riempito le copertine delle riviste femminili per più di dieci anni. Sarebbe presto diventato, oltre che il sogno proibito di milioni di donne americane, anche il fenomeno letterario degli anni ottanta. Monika, neanche a dirlo,  aveva letteralmente divorato tutti i suoi libri.

Un paio di mani femminili, grassocce, con molti anelli ed unghie lunghe e laccate di un rosso cupo spuntano dalla parte non visibile del tavolo, quella da cui parte l’inquadratura. Oltre alle mani si riescono a scorgere gli avambracci, rivestiti dalle maniche di un camice bianco.

Il silenzio si prolunga sino a quando Jude guarda in camera e domanda ironicamente: “Dovrei dire qualcosa?”

Si ode atona e impersonale una voce femminile fuori campo:

“Nulla per ora, signor… sì, Finlayson.”  La voce sembra appartenere ad una donna anziana.

“Qui…” continua la voce femminile “… c’è una liberatoria che ci mette al riparo da ogni sua futura eventuale azione legale nei nostri confronti. Lei qui dichiara inoltre di voler espressamente partecipare agli esperimenti che terremo in questo Istituto sulla deprivazione sensoriale.”

“Su cosa?” domanda con espressione divertita Finlayson.

“Non faccia lo spiritoso ora  giovanotto. Non è forse stato messo al corrente dalla dottoressa…” e qui l’audio venne interrotto da un beep che coprì il nome pronunciato.

“A me è stato semplicemente detto che sarei stato messo, con una maschera ed un respiratore, dentro una vasca piena d’acqua dove non è possibile sentire, né vedere né toccare nulla, come fossi sospeso nel vuoto. Non è così?”

“Perfetto giovanotto.” risponde la voce atona.

“Non mi sembra poi così terribile.”

“Ecco bravo, firmi qui.”

Cambio di scena e di inquadratura: ora si vede una struttura ovoidale aperta frontalmente con un portello sollevato e sospeso da un ammortizzatore idraulico. Sembra un uovo gigante, o una minuscola astronave aliena.

Jude è in piedi al centro della stanza.

Una voce femminile, questa volta sicuramente una giovane: “Può spogliarsi ora signor Finlayson.”

Jude comincia a sbottonarsi i polsini della camicia.

“Prego, dietro il paravento.” questa volta è una voce maschile.

“Oh, certamente.”

Si dirige a sinistra, uscendo dall’inquadratura della macchina da presa.

Qualche secondo dopo riappare, completamente nudo, davanti all’obbiettivo.

“Devo entrare lì dentro ora?”

“Prego signor Finlayson, si lasci guidare da me.” riprende la voce maschile.

Appare un uomo in camice dal quale spuntano un paio di jeans spiegazzati e due zoccoli bianchi.

Finlayson, aiutato dall’uomo, si abbassa per non battere il capo e comincia a penetrare nella struttura ad uovo.

“E’ studiata per assumere una posizione raccolta e rilassata. L’acqua è già a temperatura corporea standard, quando le avremo messo i sensori, raggiungerà la temperatura esatta per il suo comfort, al decimo di grado.” e aggiunse dopo una breve pausa: “ Ne avrà bisogno.”

L’uomo comincia ad armeggiare con fili e sensori sul corpo di Jude.

“Ehi, non mi farete prendere la scossa con tutti quei fili nell’acqua?” domanda Finlayson.

“L’ultimo che è passato di qua non si è lamentato troppo prima di essere stato bollito. Non ha fatto in tempo!”

“Se le studia prima le battute o le vengono così spontanee?” ribatte Jude.

Un minuto dopo sporge solo la testa, da cui si diramano numerosi cavi elettrici colorati.

“Ora arriva la parte difficile.” dice l’uomo in camice bianco “Si tratta di indossare questa: è una maschera che le permetterà di respirare e di vedere e udire solo quello che le passeremo noi. Non sarà in grado di ascoltare nessun altro suono, nemmeno quello della sua stessa voce, che sarà completamente mascherata da una frequenza generata in fase opposta.”

“Nel programma sono previsti i Looney Tunes?”

“Il programma prevede principalmente il nulla, caro giovane: buio e silenzio assoluti, e questo per quanto riguarda vista e udito, ma non tralasceremo di tarparle anche gli altri sensi a disposizione. Sarà deprivato del tatto grazie all’anestetico e ai lacci che ora sto provvedendo a fissarle a mani e piedi, così non potrà toccarsi alcuna parte del corpo, perdendone la percezione, quanto al gusto, finché durerà l’esperimento non avrà modo di esercitarlo, né all’olfatto: l’aria che le invieremo per respirare sarà filtrata, purissima e inodore. L’ambiente amniotico dell’uovo contribuirà a farle perdere del tutto il contatto e la percezione del suo corpo.”

“Credo si tratti di un’esperienza forte, la dottoressa mi aveva accennato a qualcosa in merito…” commenta Jude.

L’uomo in camice bianco continua la sua spiegazione: “La transizione verso l’annullamento sensoriale deve essere progressiva, altrimenti scatenerebbe inevitabilmente crisi di panico incontrollato. Questo glielo dico con sicurezza, viste le prime esperienze condotte in questi studi.”

“Ah… Bene…”

“Perciò le invieremo, tramite il visore all’interno della maschera gran facciale, inizialmente delle immagini rilassanti, e attraverso le cuffie della musica da rilassamento subliminale ad infrasuoni. La vogliamo mettere a suo agio, inizialmente.”

“Ciò mi rassicura grandemente. Devo proprio infilare la mia faccia lì dentro?”

“Vedo che ha capito.” risponde l’uomo “Ora stia tranquillo.”

L’uomo pone la maschera sul viso di Finlayson, che scompare, e comincia a serrare i legacci dietro la nuca.

Jude Finlayson cerca di muoversi, ma ha le braccia e le gambe bloccate dalle legature.

“Comincia già a entrare nel panico. Dottoressa cominci a parlargli, che il polso è già schizzato a centoquaranta!” dice l’uomo rivolto verso la macchina da presa.

Si sente una voce fuori campo: “Jude mi sente? Può parlarmi liberamente ora, ha un microfono nella maschera. L’assistente si è dimenticato di dirglielo.”

“Grazie a Dio sì. Non è molto rassicurante qui dentro.”

“In questo momento la vasca di deprivazione sensoriale è ancora aperta, Jude, anche se non può più vederlo. Io la vedo sistemato correttamente al suo interno. Fino a che non sarà a suo agio, lei sarà ancora in grado di ascoltare la propria voce, oltre alla mia. Possiamo chiudere la vasca e allagarla completamente Jude? Se la sente?”

“Immagino di sì".”

“Chiudi pure James e allaga tutto il maledetto uovo.”

Monika immaginò che la frase doveva essere stata esclusa dall’audio di Finlayson, perché poco dopo Jude disse:

“Ehi, sento che si sta alzando il livello dell’acqua.”

“Sì, Jude, poi non sentirà più nulla.”

“Divertente.”

“Respira con facilità? Respirazione e polso si stanno normalizzando."

“Sì. Tutto bene. Quando mi fate vedere qualcosa? Non era previsto un programmino di intrattenimento prima del black-out?”

“Ora Finlayson. Ora comincia lo spettacolo.”

Cambio di inquadratura.

Interno dell’uovo, illuminato da una luce azzurrina. I capelli di Finlayson ondeggiano nell’acqua che riempie completamente lo spazio interno. Nessuna bolla disturba la quiete nel liquido poiché l’aria entra e esce dalla maschera attraverso due tubi separati.

“Cominciamo con le immagini Jude. Ora le apparirà una spiaggia e il mare azzurro e calmo sino all’orizzonte.”

“Sì! Dio che meraviglia, le assicuro che mi ci voleva proprio. Qua dentro è un po’ come essere morti. Non sento più il tatto. Sfrego le dita tra di loro e non sento nulla. Non sento più il mio corpo, dannazione!”

“E’ per via dell’anestetico. Come le aveva detto l’assistente dobbiamo privarla anche del tatto.”

“Certo che legato così… se per esempio mi prudesse il naso?”

“Sarà impossibile, sempre per via dell’anestetico. Nessun prurito, le assicuro.”

“Già. Sembra di essere morto. In questo momento posso solo vedere questa bellissima spiaggia, e le assicuro che per me ora è una visione… molto intensa. Ma il silenzio… Questo silenzio è assurdo…”

“Si prepari Jude, dopo sarà più totale perché non riuscirà a sentire nemmeno la sua voce, nè i rumori che cercherà di produrre stridendo i denti. Lo eviti. Questi suoni saranno mascherati al suo orecchio, come le avevamo già anticipato, da una frequenza sintetizzata in fase opposta. Non solo non potrà più sentire la sua voce, ma non potrà più nemmeno controllarla.

“Ah! Meraviglioso!…

“Ora sarà necessario raggiungere un alto grado di rilassamento prima del black-out totale, dello zero sensoriale. Ora sentirà il rumore del mare e una musica di sottofondo. E’ stata appositamente creata in laboratorio per affrontare al meglio questa esperienza, è ricca di infrasuoni, frequenze al limite della soglia udibile che inducono rilassamento nel sistema nervoso centrale. Sente la musica Jude? ”

“Si.”

“Bene Jude, il suo viaggio è iniziato, da questo momento non sentirà più la mia voce sino alla fine dell’esperimento. Ora la porteremo, dolcemente, verso la deprivazione sensoriale totale. Ci vorrà del tempo, sarà lei a stabilirlo con la frequenza dei suoi battiti cardiaci e delle fasi respiratorie. A dopo… caro.”

“Caro? A dopo, dolcezza!”

...

“Dottoressa?….   Dottoressa?….  Dannazione… ….    Mi sa che è cominciato il giro di giostra.    …   …   Certo che qui è strano….    Mi manca già la voce della dottoressa.       ….    …   Sembrava un angelo…”

Cambio immagine.

Vasca di deprivazione sensoriale. Luce azzurra. Jude Finlayson è immobile, i capelli fluttuano lentamente nel liquido amniotico.  Il tempo sul bordo dello schermo indica che è già passata un ora e tredici minuti.

Voce fuori campo della dottoressa giovane:

“In questo momento il signor Finlayson non può sentirci. Stiamo gradualmente abbassando la musica e il suono del mare, il video della spiaggia sta volgendo al tramonto, e tra poco seguirà la notte più buia che essere umano abbia mai sperimentato. Jude Fynlayson, dai dati pervenuti all’elettroencefalografo è in stato di veglia e in iperattività cerebrale.”

Cambio immagine, 30 minuiti dopo.

Voce fuori campo:

“E’ iniziato il black-out. Zero sensoriale da ventidue minuti. Il signor Jude Finlayson ha il corpo percorso da forti tremori, il battito cardiaco è di 130 pulsazioni al minuto, la pressione diastolica è 80, la sistolica 160, la temperatura 38,4 gradi Celsius. Sta cantando. O meglio, sta cercando di cantare. Qualsiasi suono ormai non può più giungere al suo orecchio per effetto della risonanza a frequenza opposta indotta. Nemmeno il suono delle sue mascelle che ha già provato a serrare forte. A proposito di ciò consiglio l’uso di byte ortodontico per i prossimi esperimenti per evitare danni all’articolazione temporo-mandibolare. Il canto emesso dal signor Finlayson è sgraziato e incomprensibile. Serra spasmodicamente le dita delle mani evidentemente nell’illusoria speranza di riuscire a percepire il proprio corpo. Inutilmente, a causa dell’anestetico…”

Mentre la voce proseguiva nella descrizione Monika guardò sbigottita lo schermo dove Jude Finlayson, completamente immerso nell’acqua, con il viso coperto da un’impenetrabile maschera dalla quale sporgono tubi e cavi elettrici, illuminato da una debole luce azzurrina, che lui ovviamente non può vedere, giace nel nulla, lo zero sensoriale indotto dalla vasca di deprivazione, nudo e tremante, legato mani e piedi.

Poi Monika urlò di orrore: nel filmato la voce fuori campo è cessata, e si è data voce al “canto” di Finlayson: un suono disumano, gutturale e sgraziato. Il patetico e orripilante tentativo di un canto. La bella e suadente voce di Jude, non più controllata dall’udito, è diventata la mostruosa parodia di “Somewhere over the rainbow” riconoscibile a stento solo in alcuni passaggi.

“Dio mio, Lena” gridò la ragazza  “Quello che gli stanno facendo è terribile! Ma sono dei pazzi sadici!”

“Hai ragione Monika, è terribile. Terribilmente bello però vederlo così… indifeso. Anche ora, a distanza di tutti questi anni vederlo così mi sconvolge. Mi eccita terribilmente.”

Monika non riusciva a credere a quello che aveva appena udito.

“Basta!” gridò “Non voglio più vedere!”

“Sicura Monika?” chiese Lena gelidamente.

La ragazza capì che stava per dare una risposta definitiva.

Esitò.

“No. Non sono sicura” disse fremente di sdegno in cuor suo “Voglio continuare a guardare per capire fino in fondo.”

La scena sullo schermo cambia un’altra volta, il timer indica che sono passate tre ore e diciassette minuti dall’inizio. La voce fuori campo della dottoressa precisa che i battiti cardiaci sono rallentati, i valori pressori e la temperatura quasi normalizzati.

“Ora stai a guardare” sussurrò Lena a Monika rapita dallo schermo.

Si ode la voce della dottoressa giovane:

“Sì, Lena, arrivo, ora ti apro.”

Monika spalancò gli occhi per lo stupore.

Lena, giovanissima e abbagliante, nella sua algida bellezza quasi albina, appare al centro della stanza, davanti alla struttura ad uovo della vasca da deprivazione sensoriale.

“E’ tutto a posto?” domanda.

“Sì. Saremo sole per almeno un’ora. Puoi farlo.”

“Attivagli il video e l’audio allora.”

“Aspetta, prima devo abbassare la luce ambiente sino alla penombra, altrimenti potremmo abbagliarlo.”

La scena del film diventa buia, poi, gradualmente, l’ambiente riappare in penombra nel filmato.

“Ricordati di sussurrare appena” dice già sottovoce la dottoressa “Altrimenti lo assordi. Ricordati sempre che ora lui è in deprivazione sensoriale totale. E’ come un cervello staccato dal corpo. Se non avesse una salute di ferro e un fisico perfetto questo che stiamo per fare costituirebbe un serio rischio per la sua vita.”

“Dorme ora"?”

“Scherzi? E’ vigile come non è mai stato in vita sua. Tutti i suoi sensi sono all’erta nella ricerca spasmodica di un qualsiasi evento sensoriale.

Probabilmente sta già avendo delle allucinazioni in questo momento.”

“Allora io costituirò la sua personale allucinazione dei prossimi minuti…”

“Non ti metto l’audio dei suoni orribili che sta emettendo, perché scapperesti inorridita…”

Lena si gira di scatto verso un punto fuori campo:

“Sei pazza??? Voglio ascoltarlo immediatamente. Metti l’audio!”

“Ma Lena, potresti restare impressionata…”

“Esegui immediatamente. E non provare mai più a discutere un mio ordine.” risponde seccamente.

“Come vuoi. Ma non sarà un bello spettacolo.”

E a un certo punto si sente l’audio della voce, o di quello che resta in quel momento, della voce di Jude Finlayson.

Monika gemette di raccapriccio, mentre Lena la osservava attentamente.

Era un suono tra il lamento di un gatto ed il farfugliare di un vecchio in preda a demenza senile. Ad ascoltare bene sembrava di capire si trattasse di una sequenza numerica.

“Sì”

dice la giovane Lena del filmato

“Comprendo.”

“Ok” dice la voce fuori campo della dottoressa.

“Allora procedo?”

“Procedi pure. Dagli video e audio”

“Ok, gradualmente però. Vado col fading audio e video.”

“Ou?” disse Jude.

“Ciao Jude.” sussurra piano Lena.

“Gliéenàa ???” storpia la voce di Jude.

“Sono io, amore. Sono venuta da te, nel nulla, a farti una sorpresa.”

A questo punto nel filmato c’è un cambio di scena: appaiono due riquadri, uno, a sinistra, che riprende la stanza in penombra e Lena al centro della stanza.

L’altro, a destra, che riprende l’interno della vasca di deprivazione con la sua luce azzurrina e Jude Finlayson nudo, tremante e legato mani e piedi, con il viso affondato in un’enorme maschera gran facciale che gli fornisce l’aria per respirare ed ora anche l’immagine e la voce di Lena, che nella penombra della stanza è così vicina a lui e allo stesso tempo così lontana, come in un mondo distante e alieno.

Lena, che ora ha cominciato a spogliarsi per lui, davanti alla telecamera che gli trasmette l’immagine.

La telecamera rappresenta gli occhi di Jude, in quella bara infernale.

“Scii … sciii… o-dìo…” farfuglia Jude.

Lena si è appena sfilata gli slip ed è rimasta nuda dalla cintola in giù eccetto che per le scarpe con i tacchi a spillo che la proiettano ad un metro e novanta d’altezza.

Indossa ancora un dolcevita nero.

Comincia con lente movenze a sfilarsi anche quello.

Monika  notò che il seno di Lena giovane era più voluminoso e florido di quello attuale, e che il pube non era completamente depilato, mantenendo un piccolo ciuffo biondo chiaro.

Nell’immagine a destra, all’interno dell’uovo, sommerso dal suo liquido amniotico, Jude Finlayson sta prorompendo in un’erezione straordinariamente turgida e voluminosa.

Monika deglutì.

“Gliénua … Glìènaa… scei beisscima …

gorgoglia la mostruosa voce di Jude incatenato dentro a quell’incubo di uovo amniotico.

“Svuota parzialmente cara.” ordina Lena “Voglio poter aprire il portello.”

Senza una risposta della dottoressa, Jude sente, dopo quelle ore che gli erano sembrate interminabili, sente finalmente scendere il livello dell’acqua lungo il suo corpo.

“Tra poco potrà ascoltare nuovamente la propria voce.” dice la dottoressa fuori campo.

“Ottimo. Ciò gli migliorerà la dizione, non credi?”

“Pershé?? Cosja ha glia mia vosce?…” domanda Jude.

“Nulla caro, non dartene pensiero ora.”

“Abbiamo raggiunto il livello. Puoi aprire la vasca.” dice la voce fuori campo “Il livello dell’acqua è sceso abbastanza.”

Lena, completamemnte nuda, apre la struttura ad uovo.

“Lena, mi vedo…. ti vedo… attraverso il visore. Come fossi uno spettatore…. Ma come …. ma come… sei bella!! Non sei mai stata così bella come ora!!! Mai! Mai!” esclama Jude con voce sofferta ma di nuovo affascinante, essendo tornato a poter sentire la propria voce e a modularla a piacere.

“Non mi lusinghi affatto Jude. E’ solo per  l’effetto dell’uovo, lo zero sensoriale da cui provieni. E ora prova a sentire questo.”

Lena abbassa il capo sul ventre di Jude, appena emerso dall’acqua, e comincia a far oscillare i lunghi capelli biondo platino, dapprima lentamente, poi gradatamente più veloce.

Dopo pochi minuti Jude esplode in un grido di piacere prolungato.

Lena raccoglie tutto il suo seme con voluttà.

Lei aveva raggiunto l’orgasmo insieme a Jude senza nemmeno essersi sfiorata. Era bastata la sensazione di assoluto potere su di lui in quel momento per portarla ad un grado di eccitazione parossistico e sublime. Ma questo, non si poté vedere nel filmato, e  Monika non lo immaginò minimamente.

Non vide nemmeno che Lena si era passata lentamente la lingua sulle labbra prima di dire:

“Ora bisogna che tu riprenda a fare la brava cavia, caro Jude, che se ci scoprissero in questo intervallo, non credo ti pagherebbero più per la performance. E la dottoressa qui perderebbe anche il posto. Ti ho pulito a dovere, ora puoi tornare nel tuo liquido amniotico.

“Lena…”

Lena chiude senza indugi lo sportello dell’uovo meccanico, consapevole che Jude ha visto tutto e continua a vedere con gli occhi della telecamera.

“Allaga pure il maledetto uovo, mia cara.”

“Ti amo, Lena!”  dice la voce della dottoressa, fuori campo.



(Continua…)


lunedì 15 febbraio 2010

Deprivazione – Terza Puntata


“Seguimi.” disse Lena.

La ragazza raccolse il piccolo registratore acceso  dal piano del tavolo.

“Per prima cosa ti chiedo di spegnere il registratore, ora.”

“Perché?” chiese Monika.

“Se vuoi che l’intervista prosegua devi fare come ti dico. Decidi tu.”

Monika non disse una parola e spense il registratore. Era terribilmente irritata, ma cercò di non darlo a vedere. Seguì la signora completamente nuda che  attraversò un’ampia porta che dava in una sala attigua.

“Se ho accettato questo incontro organizzato dal Bridgestone College…” continuò Lena”… c’è una motivazione ben precisa.”

Monika osservò la sala che stavano attraversando. Su una parete c’erano tre  famose opere di Zahra Klessom, che per diverso tempo erano state esposte al Guggenheim Museum. La signora Dimmur riprese a parlare.

“Per ciò che ho in mente ho escluso a priori qualsiasi incontro con giornalisti affermati.  Non voglio dei professionisti dello sciacallaggio. Per saper ascoltare e poi divulgare degnamente questa storia occorre una mente che non abbia ancora… incrostazioni. Cerco freschezza di pensiero, per capirci meglio. Ecco perché la mia scelta è caduta sull’iniziativa del tuo college.”

Attraversarono un’altra porta ed entrarono in un salone attiguo grande quanto il precedente. Quella dimora, più che un’abitazione sembrava un museo: le stanze erano direttamente comunicanti tra di loro e non separate da un corridoio.

“Poco pratico e molto snob.” pensò tra sé la ragazza.

“Monika, nonostante la tua giovanissima età,  ho avuto l’impressione che tu l’abbia già persa, un poco, la freschezza di pensiero. Che tu abbia in qualche modo già accumulato diversi pregiudizi.”

“Ma che cavolo! Ma cosa vuole questa??” pensò la ragazza e disse: “ Mi scusi, in che senso?”

“Che cos’è un pregiudizio per te Monika?”

“Un’opinione preconcetta, suppongo.” rispose.

Lena continuò come se non avesse sentito la risposta: “E’ un giudizio dato a priori su alcuni aspetti della vita. Dei comportamenti umani, in alcuni casi, senza nemmeno conoscerli, né sapere di cosa si sta parlando.”

“Così vengono sottoposti a un giudizio errato alcuni modi di sentire, percepire le cose e anche di amare.”

“E’ indispensabile, affinché tu possa comprendere quello che vorrei svelarti, che tu ti liberassi da ogni forma di pregiudizio.”

“E…?” azzardò Monika.

“E allora devi prima vedere ciò che sto per mostrarti, poi, forse, in base a ciò che mi dirai, potrò rivelarti il vero scopo del nostro incontro. Per ora posso solo dirti che riguarda direttamente la verità e le ragioni della morte di Jude Finlayson.”

Monica restò allibita e rimpianse che il registratore in quel momento non fosse acceso.

Arrivarono ad una piccola porta che Lena aprì. Dava su un locale angusto al cui centro si ergeva una assurda scala a chiocciola in ferro battuto stile Liberty. La signora Dimmur cominciò a salire i gradini della scala e Monika la seguì.

Le natiche perfette di Lena danzavano a pochi centimetri dal viso di Monika nell’inerpicarsi della scala. Le cosce tornite e snelle lasciavano lo spazio sufficiente alla base dei glutei per osservare il sesso liscio fare la sua fugace comparsa, gradino dopo gradino.

Monika pensò che qualsiasi suo compagno di classe avrebbe ripetuto volentieri l’anno scolastico per trovarsi al suo posto in quel momento, e che probabilmente avrebbe fatto tesoro di quello spettacolo per tutti i momenti solitari per quello in corso.

Quando la danza degli scalini terminò le due donne si ritrovarono in una piccola sala cinematografica con una dozzina di poltroncine rivestite di pelle chiara, un proiettore professionale, posto in alto,  ed uno schermo grande come in un discreto cinema d’essai.

“Mettiti pure comoda cara, ti consiglio la prima fila, qui la distanza è perfetta da quelle poltrone.”

Monika passava da una sorpresa all’altra senza eccessivo stupore. Ci stava facendo l’abitudine ormai. Stava morendo di sete.

“Avrei un po’ di sete Lena” disse.

La Dimmur senza una parola andò ad un armadio a muro e lo aprì. Era un frigorifero a parete, la cui luce procurò a Monika il piacere di pregustare una bevanda fresca.

“Purtroppo c’è solo champagne in questo frigorifero.” disse “Non credo sia molto adatto per placare la sete e rimanere lucidi a lungo. Ed io ho bisogno della tua massima lucidità.”

Monika in quel momento avrebbe bevuto anche della vodka, purché fosse gelata. Però non disse nulla.

“Fortunatamente c’è anche il dispenser dell’acqua fresca. Ti accontenteresti?”

“Non desidero altro!” esclamò la ragazza quasi con ferocia.

Lena Dimmur le porse una flute di cristallo deliziosamente appannata, colma di acqua gelata.

Poi tornò al frigorifero, prese una bottiglia di Crystal e trenta secondi dopo altre due flute erano riempite, stavolta di un liquido paglierino tenue e perlato.

“Questo non è per dissetarsi, non abusarne, come ti dicevo mi servi lucida.”

Monika fu tentata di rifiutare lo champagne, ma cambiò subito idea.

“Grazie.” disse, mentre pensava che tutta la sua classe, i professori ed il preside sapevano che lei in quel momento si trovava a casa di Lena Dimmur per l’intervista. Si sentì rassicurata.

“Ciò che voglio mostrarti per poter proseguire serve a farti conoscere ciò di cui discuteremo più avanti. Affinché tu dopo possa dare un giudizio sereno e obiettivo di ciò che ti rivelerò sulla morte di Jude.”


(Continua…)

Nota: l'immagine è tratta da:
http://www.scaleartistiche.it/public/repository/imm-bractea.jpg

martedì 9 febbraio 2010

Deprivazione – Seconda Puntata


Lena fece un risolino sarcastico e poi disse:
“Ma cosa mi stai dicendo ragazza?!?”

Monika Drechsler impallidì.

“Ma!… Lei non aveva appena detto?…”

La Dimmur rise, francamente divertita. Poi disse:
“Certo, te lo confermo. Se vuoi te lo ripeto dall’inizio, ma devo dire che ora l’hai riassunto piuttosto bene.”

La ragazza si schiarì la voce avvampando.
“No. Non ce n’è bisogno. E’ sufficiente che me l’abbia confermato. Avevo scioccamente lasciato il registratore spento, dopo la pausa.” si giustificò.

“Sì.”

“Potrebbe entrare nei particolari? La prego, Lena…”

La signora Dimmur si accomodò meglio sul divano e stese le gambe sui cuscini, giratasi su un fianco.

“All’epoca Jude era studente e si aiutava così finanziariamente. Io avevo effettivamente appena cercato di strangolare il signor Klessom mentre dormivo, dopo che avevamo fatto l’amore, e cercavo di capirci qualcosa. Perché  Zahra mi era simpatico, e non trovavo una sola buona ragione per farlo. E poi come amante non era così male.”

Monika non sorrise alla battuta.

“E la cosa… L’episodio e il ricovero… non si seppe mai in giro, per quanto io ne sappia.” commentò Monika incerta.

“Ovviamente. Non tutto quello che accade nella vita privata delle persone famose diventa di dominio pubblico. Almeno non tutto quello che si decide di non far sapere.”

“E Jude Finlayson era solo un anonimo studente all’epoca?”

“Sì, te l’ho detto.”

“Posso chiederle l’anno esatto in cui si verificarono questi avvenimenti?”

“Non me lo ricordo.” e poi dopo una pausa “Credo verso la fine degli anni Settanta.”

“A che tipo di esperimenti si faceva sottoporre Jude Finlayson?”

“Jude è sempre stato una persona capace di saper sfruttare al meglio anche le situazioni difficili: per lui si trattava in quel caso di dover dormire indossando esclusivamente qualche dozzina di cavi elettrici in un locale ben illuminato, guardato a vista. E ci riusciva davvero benissimo.”

Monika non sapeva se prendere sul serio l’ultima affermazione.

“La prego Lena. Anzi, la supplico.” disse tergendosi il sudore e sbottonandosi i polsini della camicia. Aveva la gola riarsa dall’aria troppo asciutta e calda della sala. “Potrebbe spiegarmi tutta questa faccenda dall’inizio?”

"E' presto detto. Divenni amica di una giovane dottoressa che faceva parte dello staff degli studi sul sonno. Eravamo quasi coetanee. Lei aveva solo qualche anno più di me, ma era come... soggiogata. Praticamente le facevo fare tutto quello che mi andava. La convinsi a farmi entrare di notte, con lei nella sala medica, quando era il suo turno di osservazione. Una trasgressione da farle perdere il posto, se colta sul fatto."

"Turno di osservazione?"

"Jude era monitorato per tutta la notte e osservato, a turni di tre ore. Si compilava una relazione accurata."

Seguì un silenzio in cui le due donne si studiarono reciprocamente. Poi Lena continuò:

Quella ragazza si era presa una gran cotta per lui. Fu lei la prima a parlarmi di Jude Finlayson. Lui non era particolarmente bello.”

Monika si stava ormai abituando alle stravaganze della signora Dimmur. Prima il giudizio ambiguo su Zahra Klessom, e ora sosteneva che Jude Finlayson, che era stato per molti anni un sogno proibito per milioni di donne americane, non fosse stato nemmeno bello.

Lena parve leggerle nello sguardo, perché continuò:

“Era magnifico, questo sì, aveva il portamento di un ghepardo,  sprizzava sex appeal e magnetismo da ogni poro, cara. Lo so bene. Ma a guardarlo bene non era bello. Quando lo fissai negli occhi la prima volta sai cosa mi ricordò?”

“Non saprei, Lena.” Monika era ormai preparata a qualsiasi cosa.

“Un bull-terrier. Hai presente quei piccoli cani muscolosi dagli occhi minuscoli a forma di fessura?”

”Ecco… Credo di sì.” (Ma come poteva quella donna…?)

“Sono irresistibili!” concluse la Dimmur. Poi continuò:

“Lei mi parlò subito di quell’affascinante studente squattrinato di cui si era invaghita, che per venti dollari a notte riusciva tranquillamente a dormire intanto che un’equipe di dottori lo sottoponeva a elettroencefalogrammi , elettrocardiogrammi, misurazioni della quantità d’ossigeno nel sangue e un sacco di altra roba, mentre doveva stare coricato in una branda completamente nudo, all’interno di un locale illuminato e osservato a vista da dietro un vetro scuro.”

“E perché tutto questo? E perché nudo?” domando Monika.

“Nel suo caso studiavano le fasi del sonno in un soggetto maschio giovane. I cicli del sonno REM, i movimenti oculari, i suoi spostamenti nel sonno, le contrazioni muscolari e le periodiche erezioni. Una normale ricerca scientifica.”

“Solo che in questo caso la dottoressa si era innamorata della cavia, a quanto pare.” intervenne Monika ironica “Molto poco professionale, credo.”

Molto poco. Era così giovane, e poi all’epoca era ancora solo un’assistente.”

E…?”

“E così ad una certa ora di una notte in cui era il suo turno di osservazione, io arrivai alla sua porta come eravamo d’accordo e bussai. Mi fece entrare, mi sedetti vicino a lei e restammo senza parlare per non so quanto tempo.”

“Fu interessante lo spettacolo?” chiese Monika con una leggera nota di sarcasmo mal celata da finta complicità femminile.

Lena non rispose subito, fissò la ragazza con un’espressione impenetrabile e appoggiò con pacatezza la tempia al dorso della mano affusolata.

“Tu forse non capisci quanto indifesa sia una persona quando dorme davanti a degli estranei. Dormiva come un angelo nudo completamente ignaro...”

“Come facevate ad esserne così sicure?” e mentre Monika terminava la domanda già si pentiva di averla posta “Certo… era monitorato…”

“Già, l’elettroencefalogramma. Durante il sonno assume dei tracciati peculiari, completamente diversi da quelli dello stato di veglia, e molto differenti tra loro anche nelle varie fasi del sonno. Ebbi la fortuna di assistere pochi minuti dopo ad uno dei suoi periodici cicli di sonno REM.”

A Monika parve di ricordare che il sonno REM fosse associato negli uomini e nelle donne, oltre che ai rapidi movimenti oculari, anche all’erezione dei loro corpi cavernosi. Doveva averlo letto in una rivista scientifica. Non indagò oltre.

“Quella stessa notte fui certa…” continuò la signora Dimmur “…che sarei andata a letto con quel ragazzo.”

“Un’attrazione a prima vista!” non si trattenne la ragazza.

“Non l’avevo ancora potuto guardare negli occhi.”

“E quando finalmente ci riuscì, questo le fece cambiare idea?” domandò Monika.

“Non sull’intento, ma sulla modalità sì, assolutamente.”

“A questo punto non riesco più a seguirla!”

“Quando lo conobbi, ed il pomeriggio stesso andammo a casa mia…”

“E faceste l’amore?…” Monika stava perdendo la sua iniziale timidezza.

“Certo. Quando facemmo l’amore e mi piacque anche molto,  capii immediatamente che non avevo però ottenuto in nessun modo ciò che avevo desiderato visceralmente quella notte in ospedale.”

“E cioè?”

“Disporre a mio piacimento della sua vulnerabilità.”

“Credo di capire. Fu un incontro isolato, o continuaste a vedervi?”

“Normalmente non rientrava nelle mie abitudini, ma da lui accettai altri appuntamenti.”

Monika ebbe un senso di leggera irritazione che però non diede a vedere, e chiese:

“La sua relazione con Zahra Klessom continuò regolarmente dopo questi fatti? Volevo dire dopo…” e qui Monika sorrise “… lo strangolamento mancato… e gli appuntamenti con Finlayson? Se non sbaglio continuò sino al 1983, anno in cui…”

“Continuò regolarmente. Non provai più a strangolarlo nel sonno. In altre occasioni certamente, ma mai più nel sonno.”

Si trattava ovviamente di una battuta provocatoria, pensò Monika e non intervenne.

“Non dissi mai nulla a Jude di quella mia intrusione particolare nel suo sonno alla Clinica di Igiene Mentale. Né lui voleva far sapere in giro su come sbarcava il lunario passando molte notti a fare l’animale da laboratorio. Io naturalmente  ripetei molte volte l’esperienza. Lo spiai molte altre volte.”

“La sua amica dottoressa naturalmente era rimasta all’oscuro della vostra relazione?”

“Naturalmente l’avevo messa subito al corrente dei nostri rapporti sessuali. Le avevo raccontato tutto sin nel minimo dettaglio. Sin da prima che avvenissero. Le raccontai dell’appuntamento che avrei avuto da lì a poco con lui. A lei non dispiacque soffrirne.”

“Aveva trovato una complice molto particolare, non trova?” domandò Monika sempre più nervosa.

“C’era senz’altro una bella sintonia nel nostro agire insieme.”

“Se lo dice lei.” Monika non riuscì a risparmiarsi questo commento sarcastico, al quale Lena Dimmur rispose con un imperturbabile sorriso.

“Quando desidero da lei un favore, non me lo nega mai.”

La ragazza allibì.

“Come?!? Siete ancora amiche?” domandò “Dopo tutti questi anni?”

“Amiche? Mai state amiche. Però ho il suo numero di telefono nella mia rubrica.”

“E così quando lei desidera un favore da questa persona…?”

“Lei è felice di accontentarmi.”

“Fortuna che lavora in una Clinica di Igiene Mentale! Ma che professione azzeccatissima per lei!” commentò sempre più sarcasticamente Monika “… E scommetto che magari vive anche da sola, passando il proprio tempo libero a rimpinzarsi di porcherie ed aspettare una sua estemporanea telefonata…”

“No, assolutamente, è sposata, ha un bel marito e  qualche figlio in giro, ormai tutti indipendenti.”

“E…” e qui Monika si interruppe.

“E ora ti stai chiedendo se mi sono portata a letto anche suo marito, non è vero?”

La ragazza arrossì e non rispose. Era arrabbiatissima, la vecchia ci aveva visto giusto. Gliel’avrebbe anche sbattuta lì quella domanda in un’altra occasione, ma quell’intervista era troppo importante per il suo futuro di aspirante giornalista. Doveva starsene buona.

“Non ci ho pensato mai nemmeno minimamente. Sono una persona molto leale, anche se tu non lo pensi. La lealtà per me è una qualità imprescindibile.”

Aggiunse dopo una pausa:

“Purtroppo non è così per tutti.”

Monika non resistette:

“Chissà se anche Zahra Klessom, a quel tempo innamoratissimo di lei, l’avrebbe pensata altrettanto, se fosse stato al corrente dei suoi tradimenti.”

Era fatta, probabilmente l’intervista sarebbe finita qui. Troppo emotiva, troppo diretta per una giornalista. Avrebbe dovuto ancora imparare molto dalla vita. Monika arrossì pesantemente e si preparò al commiato.

Lena studiò a lungo la ragazza sudata e arrossata in volto seduta rigidamente di fronte a lei.

“Vorresti ancora dell’acqua, Monika?” chiese.

“No, grazie.” rispose un po’ stupita, in attesa della prossima mossa.

“Zahra ha sempre saputo di ogni mia relazione erotica, e ti assicuro che in quegli anni furono numerose. Lo tenevo informato su sua richiesta. D’altro canto anche lui era libero di frequentare chi voleva. Ma non ci teneva troppo.”

Monika non riuscì a ribattere nulla.

“Evidentemente tutta questa trasparenza in un rapporto deve apparirti estranea.”

“No... Assolutamente!” rispose Monika non chiedendosi nemmeno cosa Lena volesse significare con quella frase, ma cominciando invece a sperare di poter continuare l’intervista “Anzi mi scuso sinceramente per poco fa…”

“Non dire così, cara. Ciò che è detto è detto.”

La ragazza tacque, interdetta, mentre Lena si alzò dal divano con naturalezza. 

“Voglio mostrarti una cosa, prima di decidere sul prosieguo della serata.”

(Continua….)

Nota: l'immagine è tratta da:
http://www.leorato.it/Disegni_file/AllucinazioniColor1.jpg

La sula

Erano passati trent’anni e la sula era ancora lì, con la sua aria mesta e con la sua ala pesta e malridotta dall’età veneranda di questo uccello rattrappito e scarnificato che è andato fino al Polo, e non ci tornerebbe più.

E la sula era sempre lì, su quella boa senza senso davanti al molo dell’Hotel assurdo, edificato là, dove di viaggi allucinanti, di lune di miele stralunate, di amplessi al ciclostile, non se ne farebbero più.

Ed io ero ancora lì, in quel cazzo di posto incredibile, su quel barchino senza tempo, col fuoribordo sempre acceso, sotto un sole tropicale implacabile e freddo.

E il giornale aperto che copre la faccia, ma mostra la pancia, e la sabbia sul pene che sembra impanato. Lei ora lo mangia, e poi torna a casa. Casa con le volanti e tre ordini di crocette, casa senza padrone e con tanti amanti.

E le amarezze dell’amico triste, e i sadismi mal riposti della sua donna impazzita.

E la sula che mi guarda ipnotica e ipnotizzata dal suono del motore che non si ferma mai, dal dondolìo della boa senza senso, e dal ticchettìo del mio cuore.

Aria. Aria che pesa. In un mattino esterrefatto all’Honey Moon Beach Hotel.




Nota: la sula è un uccello tropicale.


L'immagine è tratta da:
http://www.liceoberchet.it/ricerche/geo5d_04/Galapagos/sula.htm

domenica 7 febbraio 2010

Deprivazione – Prima Puntata


“Cominciamo?”

“Cominciamo pure.”

La ragazza attivò la registrazione sul piccolo dispositivo digitale. Si mosse un po’ sulla sedia, aggiustandosi una ciocca di capelli.

Le due donne si guardarono in silenzio mentre il tempo sembrava dilatarsi in maniera imbarazzante.

“Non sei qui per pormi delle domande?” chiese la più matura, dopo un lungo silenzio.

“Sì! Certo!…” la donna giovane si terse una goccia di sudore dalla fronte e si scosse: “Quanti anni ha signora Dimmur?”

“Lei è stata prescelta tra tutte le maturande del Bridgestone College per intervistarmi?”

“Sì.”

“Ti sembra una domanda interessante da fare in un’intervista?” chiese, passando senza preamboli a un tono confidenziale.

“Ehr… non so. Se me lo domandassero, io risponderei, signora."

“Quanti anni hai ragazza?”

“Diciotto.”

“Ecco, vedi.”

Seguì una pausa di silenzio.

“Ok. Cambierò la domanda: Che tipo di legame c’era tra lei e il signor Jude Finlayson?”

“Eravamo appassionati amanti.”

La ragazza sgranò gli occhi. Da un decennio si vociferava su di un possibile legame amoroso tra il grande scrittore tragicamente scomparso e Lena Dimmur, ed ora davanti a quel registratore acceso veniva svelato…

“Già finita l’intervista, tesoro? Pensavo avresti avuto qualche altra domanda da porre.”

La ragazza ebbe un sussulto.

“Sì, certamente! Ho un sacco di domande da porle… Mi piacerebbe poter parlare molto con lei questa sera.”

La donna meno giovane si alzò dal divano e disse:

“Scusa cara. Se non ti dispiace vado a mettermi comoda, mi sento stranamente in vena di confidenze, stasera.”

“Prego signora Dimmur. Prenda tutto il tempo che desidera, io non ho certo nessuna fretta.”

“Come ti chiami ragazza?” chiese la signora, giunta sulla soglia della sala debolmente illuminata.

“Monika. Monika Drechsler, signora Dimmur.” rispose la giovane.


“Ah, già! Chiamami pure Lena, Monika. Basta con ‘signora’, siamo d’accordo?"

“Sì… Lena, come desidera.”

“Va bene.” e uscì dalla porta.

Un grande fuoco ardeva nel camino e dipingeva di riflessi rossastri il basso tavolo di quercia e i divani e le poltrone circostanti. Qualche lapillo ogni tanto saltava dal fuoco scoppiettante per cadere dianzi sul folto tappeto, spegnendosi quasi subito.

Monika pensò che era pericoloso. La signora viveva sola nella grande casa.

Nonostante il freddo intenso all’esterno (era febbraio), l’interno dell’abitazione era decisamente ben riscaldato.

“Troppo caldo.” disse Monika tra sé a bassa voce, e si terse nuovamente il sudore dalla fronte e si sbottonò il colletto della camicia.

Lena Dimmur entrò dopo qualche minuto, completamente nuda, nell’ampio salone male illuminato.

“Ti imbarazzo così?” le domandò imperturbabile.

La studentessa deglutì e spalancò gli occhi. Lena Dimmur, nonostante l’età decisamente più che matura possedeva un fisico snello e scultoreo che non presentava il segno degli anni.

A differenza del viso, segnato da rughe profonde che dimostravano tutti, o forse più, dei suoi anni, la pelle del suo corpo al contrario non presentava difetti. Né segni di smagliature, né di cellulite. I seni piccoli ma eretti sembravano appartenere ad una donna giovane, le gambe, lunghe e snelle erano dritte e toniche, il ventre piatto, le braccia aggraziate e dalla pelle liscia, il pube completamente glabro.

Il suo sguardo non dissimulava una curiosità divertita.

“Allora?” tornò a chiedere “Ti imbarazzo?”

“Imbarazzo… no… Ma mi domando perché.” rispose Monika che aveva cominciato a sudare copiosamente.

“Perché io sto sempre nuda a casa mia normalmente.” rispose “E’ un’abitudine del tutto usuale per me. Naturalmente se la cosa ti infastidisce posso mettermi qualcosa. Voglio che tu ti senta a tuo agio.”

“No. Non mi disturba.” concluse la ragazza, pentendosene quasi subito. Si schiarì la voce e abbassando gli occhi sul suo taccuino domandò:

"Possiamo riprendere l’intervista?”

“Certo.” rispose Lena Dimmur sedendosi sul divano e accavallando le gambe. I piedi, dalle caviglie affusolate, erano curati, ma privi di smalto sulle unghie, come le mani, dalle dita esili e le unghie tagliate corte.

Monika non cercò più di salvare l’apparenza, scartabellò spudoratamente il suo taccuino e cominciò a leggere con tono piatto la domanda tra quelle preparate per l’occasione.

“Perché ha scelto di vivere negli Stati Uniti, signora… mi scusi. Lena?”

“Per caso. Quando compii diciannove anni mi regalai una vacanza a New York con i miei primi risparmi. Quando finirono i soldi ero appena a metà del tempo da me prefissato per quel viaggio. Mi si prospettò un lavoro che mi rendeva molto più di quello che guadagnavo in Islanda. Decisi perciò di prolungare la mia permanenza.”

“Di che tipo di lavoro si trattava?”

“Non è un segreto. Feci da modella ai più noti pittori di quegli anni.”

La signora cambiò posizione, sollevò le gambe, appoggiando i piedi nudi sul cuscino del divano, i talloni vicino ai glutei, sino a raccogliere le ginocchia tra le braccia, alle quali appoggiò pigramente il mento. I capelli di un bianco quasi abbagliante, lunghi e lisci, le nascondevano i seni. Monika vide il suo pube depilato che le sembrò socchiudersi e rivolgerle un sorriso beffardo.

Distolse lo sguardo e si concentrò sul volto della signora. 

“Fu allora che conobbe Zahra Klessom?”

Monika provò per qualche secondo a guardarla dritta negli occhi, ma si arrese presto per scivolare più cautamente sulla sua bocca. Piccole rughe verticali si irradiavano intorno alle labbra e danzavano intorno alle parole di Lena Dimmur.

“Sì, diventammo amici. Ma non ho mai considerato Zahra un pittore. Né gli feci mai da modella.”

“Il suo è un punto di vista davvero… insolito! Klessom è universalmente riconosciuto come il padre del…”

“Non ho detto che non fosse stato un grande artista, se è questo che hai inteso. Ho solo detto di non averlo mai considerato un pittore. Non ha mai usato una qualsiasi tecnica pittorica per le sue opere, in vita sua.”

“Ma ha innovato le tecniche dell’espressionismo astratto, ha dato una svolta decisiva alle arti figurative del…”

Lena Dimmur la interruppe serafica e disse: “Ah sì, senz’altro. Poi si alzò disinvoltamente dal divano e disse:

“Qualcosa da bere Monika?”

“Sì!... Acqua, grazie!”

“Forse credo di averne in cucina.” le rispose la Dimmur sorridendo, e uscì dalla stanza.

Tornò venti minuti dopo con un vassoio contenente una caraffa d’acqua ricoperta da cubetti di ghiaccio ed un bicchiere molto piccolo, lungo e stretto simile a quello che i Turchi usano per bere il Raki. Nulla per sé.

Monika era attonita.

In quei venti minuti aveva spento il registratore, la temperatura della stanza le era parsa ulteriormente aumentata e la sete era diventata fastidiosa. Non aveva saputo che fare, tranne aspettare. Supinamente.

“Dicevamo?” chiese Lena Dimmur, posando il vassoio sul basso tavolo di quercia dinanzi a Monika.

Versò l’acqua ghiacciata nel piccolo bicchiere riempiendolo solo a metà.

Lo porse alla ragazza e restò in attesa.

Monika lo vuotò di un fiato, ben lontano da sentirsi dissetata, non ne chiese dell'altra. Prese il suo block notes e lesse la seconda domanda.

“Ci fu un momento particolare, nella sua permanenza a New York, che la rese consapevole di essere diventata famosa?”

“Quando un tassista volle offrirmi la corsa.”

“Ecco!… E… in quale occasione conobbe Jude Finlayson?”

“Alla Clinica di Igiene Mentale del McLean Hospital di New York”

“Prego?…”

La ragazza restò allibita.

“Ho detto alla Clinica di Igiene Mentale del McLean Hospital di New York, Monika.”

“E… Posso chiedere cosa ci facevate alla Clinica di Igiene Mentale in quell’occasione?”

“Lui stava facendo la cavia, per 20 dollari al giorno. O dovrei dire a notte. Io ero ricoverata per… diciamo disturbi del sonno.”

Monika non sapeva cosa domandare per prima cosa. Poi si decise:

“Disturbi del sonno?”

“Avevo cominciato a soffrire di sonnambulismo. Per poco non strangolai Zahra nel letto.”

La ragazza realizzò in quel momento di non aver acceso il registratore al ritorno di Lena nella sala.

Impallidì e lo accese immediatamente.

Mi conferma che ha conosciuto Jude Finlayson nella Clinica di Igiene Mentale del McLean Hospital di New York, dove lui stava facendo da… cavia? E che lei si era ricoverata per aver cercato di strangolare Zahra Klessom in stato di sonnambulismo??” recitò tutto di un fiato.



(Continua…)

Nota: l'immagine è tratta da:
http://www.flickr.com/photos/tonyshi/3073628944/